La drammaturgia, come previsto dal bando, si propone di rappresentare in un unico atto la novella di Luigi Pirandello, “L’eresia catara”, cercando di enfatizzare il colpo di scena finale. A parlare sono quegli stessi impermeabili che hanno tratto in inganno il povero protagonista, perché la lezione dell’umorismo
pirandelliano, profondamente affine alla macchina teatrale, è in fondo questa: esercitare l’empatia.
A che cosa si deve la scelta della novella? Che cosa vi ha colpito?
La novella ci è stata proposta dalla nostra professoressa e noi, dopo un breve confronto, abbiamo accolto l’idea, perché colpiti dalla figura del Lamis. Infatti questo personaggio, contemporaneamente comico e tragico, ci ricorda la condizione degli uomini: soggetti al caso, spesso sfortunati, e impegnati in una continua ricerca di gratificazione da parte della società. Il solo desiderio del professore è ottenere il riconoscimento della superiorità della sua opera rispetto a quella di Von Grobler. Solo in questo modo egli pensa, infatti, di potersi riscattare dagli scorni del vivere. Questa novella ci ha colpiti anche per la figura del Ciotta: ci siamo resi conto che è la personificazione della benevolenza e della comprensione (di Pirandello e del lettore) verso il Lamis. L’humanitas del personaggio contrasta profondamente con l’indifferenza degli altri studenti di legge.
Com’è nata l’idea di far parlare gli impermeabili?
Per realizzare la traspozione della novella sottoforma di drammaturgia abbiamo inizialmente pensato di rendere le sequenze narrative attraverso l’impiego di un coro. Tuttavia, dopo varie riflessioni e confronti in classe, un certo “labor limae” e dopo essere stati aiutati da un esperto all’interno di un piccolo laboratorio teatrale in classe, abbiamo trovato una soluzione alternativa: animare gli impermeabili. Infatti abbiamo notato che la nostra idea iniziale, nonostante paresse essere funzionale alla resa drammaturgica, risultava poco dinamica e difficile da realizzare. Al contrario, l’idea di far parlare gli impermeabili avrebbe reso molto più efficace il colpo di scena finale, esaltando l’umorismo e il tono tragicomico della novella.
Quella del lettore/spettatore e del Ciotta è compassione?
La prima volta che abbiamo letto la novella, la vicenda del professor Lamis ci ha suscitato il riso, ma sul finale ci siamo trovati anche a riflettere circa la condizione tragica del protagonista. Dopo diverse revisioni per la realizzazione della stesura finale, ci siamo resi conto che il colpo di scena in cui si svela la presenza degli impermeabili al posto dei fidati studenti è fondamentale per suscitare pietà e compassione nello spettatore. Lo stesso Ciotta prova questi sentimenti, insieme ad un sincero affetto nei confronti di quell’uomo vinto e deriso dalla società. Tuttavia questo personaggio pirandelliano è un alto esempio di dignità umana di cui solo pochi uomini sono dotati. Ciotta tenta di preservare la gioia e la soddisfazione di Lamis durante la sua “formidabile” lezione e, per questo motivo, blocca gli altri studenti che vorrebbero riprendere i loro cappotti. Questo gesto, nella sua apparente semplicità, esprime la tenerezza e la premura che l’alunno riserva nei confronti del suo stimato e apprezzato insegnante.
Come viene considerato, secondo voi, oggi chi ha cultura e qual è la sua influenza nella società?
La maggior parte di coloro che oggi possono vantare una cultura ampia e profonda troppo spesso vengono poco valorizzati dalla società, che invece sembra prediligere e apprezzare la leggerezza di chi fa divertire, anche attraverso il ricorso alla battuta volgare o di pessimo gusto. I reality show sono un esempio di strumento mediatico che asseconda questa tendenza, a discapito di coloro che invece avrebbero qualcosa di serio da comunicare. Questi ultimi, agli occhi di molti e soprattutto dei più giovani, appaiono talvolta noiosi e avulsi dalla realtà perché nei loro discorsi affrontano tematiche importanti, con un linguaggio che spesso può risultare estraneo e tedioso. Ciononostante alcuni intellettuali sono riusciti a trovare dei canali in grado di raggiungere e coinvolgere anche i più diffidenti e meno interessati: Roberto Saviano, ad esempio, è capace di esporre le gravi problematiche del sud Italia utilizzando i media attraverso un linguaggio diretto e intrigante, rendendole vicine alla sensibilità di un vastissimo pubblico.
Che cosa ne pensate della fuga di cervelli italiani all’estero?
La fuga dei cervelli è un fenomeno sempre più diffuso. Alla base del problema c’è la scarsa innovazione, limite della ricerca e limitatissime possibilità lavorative, nonostante le università italiane si distinguano per la loro storia ed il loro prestigio. Dopo la laurea i giovani si ritrovano sempre più di frequente ad un bivio: rimanere nel proprio Paese, trovando molto spesso una collocazione professionale non in linea con la formazione ricevuta o precaria, oppure trasferirsi all’estero in cerca di migliori opportunità. Purtroppo non sempre chi emigra lo fa per desiderio di libertà, molti sono spinti dalla necessità economica, infatti sono sempre più numerosi coloro che lasciano il nostro Paese alla ricerca della propria realizzazione personale. Secondo noi questa è una grandissima perdita per l’Italia che investe per la formazione di menti brillanti che portano i frutti dei loro studi a vantaggio di altri Paesi.
Svolgete attività di labo
ratorio teatrale durante l’anno?
Alcuni dei nostri compagni hanno preso parte ad un laboratorio teatrale guidato dal “Teatro delle Albe” di Ravenna. La maggior parte di noi, invece, non ha partecipato ad alcuna iniziativa specifica, ma ha aderito con entusiasmo a un’attività proposta dalla professoressa: una rappresentazione cinematografica sottoforma di “corto” dei primi canti dell’Inferno di Dante. Dopo esserci divisi in gruppi abbiamo realizzato un breve video, rielaborando e attualizzando passi tratti dalla “Divina Commedia”. Di questa esperienza è stata interessante soprattutto la messa in scena: siamo ragazzi spesso timidi e recitare di fronte ad una “telecamera” ci spaventava un po’. Il risultato, però, è stato incredibile: siamo riusciti a superare la timidezza ed assumere i toni autoritari e solenni che si addicevano ai personaggi che interpretavamo, come il traghettatore Caronte. Inoltre l’esperienza ci ha visto coinvolti anche a livello di montaggio, della scelta dei costumi e della
location. Anche questa parte è stata appassionante e un po’ complessa, tuttavia l’esito è stato tutt’altro che deludente: il laghetto di un parco cittadino è diventato l’Acheronte, un campo immerso nella nebbia si è trasformato nell’Inferno e un sottopasso imbrattato dai graffiti è stato, infine, scelto come ingresso dell’antro infernale. Per i costumi abbiamo usato teli bianchi e cappotti colorati, per le coroncine d’alloro sono state usate corone di fiori e infine per simulare i pianti delle anime perdute abbiamo sfruttato i latrati dei cani che per caso si trovavano nel parco.Comunque, come classe, non avevamo ancora vissuto un’esperienza simile a quella che il concorso ci ha proposto e
non aspettiamo altro che immergerci in questa attività.
Conoscete Agrigento come città di Luigi Pirandello?
No, non conosciamo Agrigento come città di Pirandello, almeno non in modo specifico, avendo affrontato la poetica dell’autore a grandi linee. Speriamo che questo viaggio ci aiuti a conoscerlo meglio, essendo uno degli autori più importanti e famosi della letteratura italiana.