fbpx

Quella “casa stregata” raccontata da Pirandello

LUOGHI LETTERARI Beniamino Biondi ci fa conoscere uno dei luoghi pirandelliani di Agrigento di cui si fa cenno nella novella La casa del Granella: “La casa è ancora lì, intatta, con le persiane chiuse, i balconi ammalorati, e con la stessa atroce solitudine del racconto”.

Le “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello sono un vero e proprio monumento del Novecento letterario, uno dei risultati più alti della narrativa italiana, e, per certi aspetti, il momento più intenso e vivo della grande opera del drammaturgo agrigentino.

È verosimile pensare che lo stesso Pirandello sia stato legato a questo suo progetto più che ad altri, al punto che la produzione novellistica lo ha praticamente accompagnato per tutta la vita, dal primo racconto del 1884 – quando lo scrittore era appena un adolescente – all’ultimo del 1936, pubblicato sul Corriere della Sera il giorno prima della sua morte.
All’interno di un ciclo unico (rimasto incompiuto a 246 racconti), Pirandello si proponeva una novella al giorno, e dal 1922 al 1937 furono ben quindici i volumi che raccoglievano l’intero corpus narrativo, con numerose trasposizioni dalla novella al teatro e una fase tarda di sperimentazione surrealista e metafisica che riduceva drasticamente il dialogo in favore di una dimensione allucinata e perturbante.

La vita nuda“, uscito nel 1922 per i tipi di Bemporad, costituisce il secondo volume della collezione, e tra i suoi racconti ce n’è uno – straordinario – che parla di fantasmi. Siamo ad Agrigento, e la descrizione del luogo è immediatamente riconoscibile.

Scrive Prandello: “La casa sorgeva nel quartiere più alto della città, in cima al colle. La città aveva lassù una porta, il cui nome arabo, divenuto stranissimo nella pronunzia popolare: Bibirrìa, voleva dire Porta dei Venti. Fuori di questa porta era un largo spiazzo sterrato; e qui sorgeva solitaria la casa del Granella. Dirimpetto aveva soltanto un fondaco abbandonato, il cui portone imporrito e sgangherato non riusciva più a chiudersi bene, e dove solo di tanto in tanto qualche carrettiere s’avventurava a passar la notte a guardia del carro e della mula.

Un solo lampioncino a petrolio stenebrava a mala pena, nelle notti senza luna, quello spiazzo sterrato. Ma, a due passi, di qua dalla porta, il quartiere era popolatissimo, oppresso anzi di troppe abitazioni. La solitudine della casa del Granella non era dunque poi tanta, e appariva triste (più che triste, ora, paurosa) soltanto di notte. Di giorno, poteva essere invidiata da tutti coloro che abitavano in quelle case ammucchiate. Invidiata la solitudine, e anche la casa per se stessa, non solo per la libertà della vista e dell’aria, ma anche per il modo com’era fabbricata, per l’agiatezza e i comodi che offriva, a molto minor prezzo di quelle altre, che non ne avevano né punto né poco“.

Una descrizione felicissima, cioè esemplare dell’intelligenza romanzesca di Pirandello, e una zona che ancora oggi appare pressoché simile – di notte – “più che triste, ora, paurosa”.

La novella ha per titolo “La casa del Granella“, e la cosa curiosa è che la casa è ancora lì, intatta, con le persiane chiuse, i balconi ammalorati, e con la stessa atroce solitudine del racconto. Negli ampi magazzini al pianterreno, tra le enormi pareti di tufo, emergono bellissimi archi, più o meno visibili nella cornice delle attività commerciali che vi si sono adattate: una storica caffetteria, un negozio di ceramica pregiata, e – cosa curiosa, per una casa invasa dagli spiriti – un centro liturgico che vende articoli religiosi.

Ecco la casa del Granella, che si affaccia sulla piazza da una loggia stretta che la mostra nel suo desiderio d’essere appartata e non vista. Chissà se ci sono ancora i fantasmi, in quella casa. A sentire coloro i quali vivono nel centro storico di Girgenti, la casa è stregata; ce lo riferiscono in tanti, e non a mezza voce, procurando di non essere visti, ma con la certezza granitica di chi non nutre alcun dubbio, come di chi dice che piove a un uomo con l’ombrello sulla testa. Non c’è alcun dubbio, Pirandello deve avere affabulato un pettegolezzo che collocava fra quelle pareti la presenza di “spiriti infernali”, come lui li descrive, e questa fantasia non ha smesso di assurgere a verità popolare, conclamata nella forma di un convincimento lapalissiano, per cui i fantasmi esistono e sono lì e non c’è verso che se ne vadano a un’altra casa che non sia la loro.

Più di un trentennio addietro, le stanze della casa del Granella furono adibite a classi di una scuola elementare; un sito provvisorio, circoscritto ai bambini del quartiere, e, difatti, dopo pochi anni l’immobile tornò chiuso. Ma a sentire qualcuno quella scuola ebbe vita breve proprio a causa dei fantasmi, e qualche maestra e un bidello lamentarono senza imbarazzo fenomeni sospetti: porte che si aprivano da sole, folate di vento inspiegabili, rumori che non avevano un’origine precisa.

Suggestione, certo, roba da non crederci; e però qualcuno ci credette, e ancora oggi lo racconta con un moto d’angoscia e nessun rimpianto per quegli anni trascorsi nella casa. Svoltata la stretta curva a gomito che porta alla Bibbirria, il palazzotto del Granella è ancora oggi fermo testimone di se stesso, dei suoi misteri e delle sue leggende. Che si creda o no ai fantasmi poco importa, dacché ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, come in un racconto di Luigi Pirandello.

da Balarm