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“Io e gli inediti di Antonio Russello”

di Francesco Castronovo

Su alcuni inediti dello scrittore di Favara ovvero andata e ritorno nell’officina di uno scrittore. Francesco Castronovo, giovane studioso di Russello, ci racconta il suo lavoro di lettura dei manoscritti dell’autore de La grande sete che saranno pubblicati da Medinova

Francesco Castronovo

Ho appena finito di far colazione, ma ozio ancora un po’, giusto il tempo di prendere un altro caffè: con uno inizio la colazione, con un altro a distanza di qualche minuto la concludo… Una bizzarra abitudine, quella di dividermi il caffè in due momenti dello stesso pasto; chissà cosa si nasconde dietro questo mio tic: il vizio dell’ozio o la virtù dell’indugio?

In ogni caso, subito dopo, come a riprendermi dai miei attimi di pausa ingiustificata, passo al salone di casa mia, mi siedo sulla sedia presa dalla cucina, al tavolo trasportato dalla mia camera: questi gli arredi del mio bizzarro ufficio. Sopra: tra pile di libri letti, da leggere e da rileggere, campeggiano i titoli di alcuni inediti dello scrittore Antonio Russello, che il dottore Liotta, presidente della casa editrice Medinova, mi ha consegnato questa estate, per verificare la corrispondenza fra il testo dei manoscritti e la sua paziente trascrizione al pc (per l’occasione un “digitamanuense” moderno, ostinato e paziente in questo prezioso lavoro di riscoperta dello scrittore favarese): “La vita postuma. Autobiografia minima”, un diario di vita e di scrittura, la cui ultima stesura si data al 1999, è alla destra del mio pc; su una sedia, custoditi dentro una borsa, “L’invasione barbarica”, curioso romanzo-traduzione di un testo latino che incrocia la storia del traduttore (ma chi è il traduttore: Russello o un alter ego che parla in prima persona?) con quello dell’antico manoscritto; ancora il suggestivo “Il dirigibile perduto”, romanzo in cui il narratore racconta la propria infanzia, nel parallelo svolgersi della missione di un dirigibile che vola fra i cieli: un romanzo aereo, che già si apre nella prima pagina con la descrizione del volo degli aquiloni: «Quegli aquiloni alti con fili tesi da mani infantili […]», un incipit programmatico al modo degli antichi cantori, che racchiude il germe della narrazione: la metafora del volo (con gli aquiloni) in rapporto all’infanzia…

Russello stesso, nella Nota d’autore posta alla fine di questo romanzo, scrive: «Questo mio libro Il dirigibile perduto sembra scritto come l’ultima della cose della mia infanzia dietro cui sembra non ci sarebbe più null’altro da dire […]», un libro sull’infanzia, quindi che si aggiunge alle storie di formazione che hanno per protagonisti giovani voci narranti (“La luna si mangia i morti”, “Storia di Matteo”).

Ma la “Nota” è importante (e lo è in tal senso questo mio lavoro) perché permette di entrare nell’officina dello scrittore, come quando scrive: «[…] Ma torniamo alla discussione perché questo libro mi martellava in testa. Esso non è nato ex novo, ma era già, se così si può dire, sparso qua e là in altri libri, e l’ho ripreso in parte dalla novella: Novene di Caltanissetta […]». Un libro quindi sparso fra i libri, che martellava la testa di Russello: ne esce fuori la figura di uno scrittore pervicacemente appartato rispetto al mercato editoriale, ma ostinato nella scrittura (prendo i due termini dalla conclusione della “Vita postuma”), che torna e ritorna sulle idee e sui soggetti delle sue opere: forse, senza questo martellamento, non avrebbe avuto il pungolo di una scrittura che ricerca storie spesso fra loro distanti per genere e stile. Del resto c’è ancora tanto lavoro da fare: dentro la borsa mi aspetta il prossimo libro, “Quell’estate le cicale non cantavano”… Ma prima di iniziare, un altro caffè.

Francesco Castronovo