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Verga, il cantore degli umili

di Enzo Alessi

In occasione del centenario della morte del grande scrittore catanese, lo scorso 27 gennaio il regista e scrittore Enzo Alessi è intervenuto alla manifestazione organizzata dalla “Società Dante Aligheri” di Agrigento e Savona. Ecco la sua relazione

Giovanni Verga, catanese, pietra fondamentale della nostra letteratura. Deve il suo inizio all’amico concittadino Luigi Capuana, autore del romanzo “Il Marchese di Roccaverdina”, che oggi è dimenticato dai più, ma fuoreggiò per quasi mezzo secolo. Capuana nel fervore dell’”Unità“ appena raggiunta sentì il bisogno di svecchiare la lingua, “Inutilmente risciacquata da Manzoni nell’anno” e i contenuti della narrativa italiana.

Modello il “Naturalismo francese del Zolà e Flaubert. Le battaglie giornalistiche dell’amico indussero Verga a tentare, dopo il successo editoriale di “Storia di una capinera” l’esperimento di una cruda descrizione della miseria umana: “Nedda” una novella dove i personaggi si esprimono con una lingua aperta alle inflessioni gergali; rappresentò la nascita del Verismo: una nuova corrente letteraria italiana.

Si aggiungono, anche, l’interesse per le teorie evoluzionistiche, per la montante questione meridionale, per le vistose differenze economiche tra Nord e Sud. Tutti questi motivi e sentimenti troveranno terreno fertile in “Vita di campi”, “I Malavoglia”, “Mastro Don Gesualdo”, “Dal tuo al mio”.

Non dobbiamo mai dimenticare che il Verga era di famiglia nobile e agiata, la sua è stata una scelta di vita, pagata amaramente. Era “l’ospite fisso” e “amato” del più prestigioso salotto milanese della contessa Maffei, dove ha potuto frequentare Arrigo Boito, Federico De Roberto, il Giacosa, il
fondatore del Corriere della Sera Eugenio Torelli. Fondamentale fu l’incontro con Emilio Trevers che, liti a parte, lo appoggerà, incondizionatamente. Verga ripeteva spesso: “Non amo Londra né Parigi, preferisco Firenze”. Grazie al Capuana conosce il Rapisardi che lo introduce nel “Circolo Universitario” del Prof. Dell’Ongaro.

Conosce anche Giselda Fojanesi con la quale avrà una storia turbolenta. Lascia Firenze e ritorna a Catania e inizia a formulare la sua teoria dei “Vinti” che sono “i deboli che restano per via, e levano le braccia disperate e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravegnenti”.

Il 24 agosto 1879 appare per la prima volta la novella “Fantasticheria” su il “Fanfulla della domenica” in forma singolare di lettera. Lo scrittore ricorda la visita di una raffinata contessa milanese in un piccolo e sperduto paese Acitrezza, dove, giura di volervi trascorrere tutta la vita, incantata dal mare e dagli scogli di Ulisse; ma dopo quarantotto ore, si stanca di quella vita miserabile e riparte. Verga sceglie, invece, di stare dalle parti degli umili che chiamerà “Vinti”.

Enzo Alessi

E’ nato il “Verismo” in Italia che molto somiglia al “Naturalismo” francese come movimento basato sul “vero”. Mentre il “Naturalismo” francese si basava su personaggi e situazioni delle periferie delle grandi città, mettendo in luce oltre alla miseria il degrado morale dovuto ai vizi come alcool, prostituzione, droga…

Il “Verismo” descrive e narra gli “umili” delle campagne, del mare, dei piccoli centri rurali dove esiste la povertà secolare ma non il degrado morale. Verga sosteneva che “i pantaloni dei pescatori e dei contadini erano talmente rattoppati che non si vedeva la stoffa primaria, ma erano sempre puliti”.

Lo scrittore celebra la “Religione della Famiglia” ne I Malavoglia e come protagonisti per la prima “Attori Plebei” di un ignoto destino. Dopo i fatti storici del ’60, con le sollevazioni contadine contro i garibaldini, le sommosse del ’69, causate dalla tassa sul macinato, la delusione della sinistra al potere, Verga sceglie gli “umili” e scrive: “La gente non saprà mai quanto mi sia costata questa scelta, l’Arte è una cosa seria, specie per chi ha la testa dura e le tasche vuote”.

Ecco che nascono le Novelle del mondo rurale e misero basta ricordare “Rosso mal pelo”, “Ieli”, “L’amante di gramigna”, “Fantasticheria” contiene tutte le cellule di composizione dei “I Malavoglia”. Il romanzo parla di ‘Ntoni e di tutta la sua famiglia e del piccolo villaggio di pescatori che è il “vero protagonista” dell’intera vicenda. I personaggi si muovono secondo le regole dell’impersonalità tratte dal Naturalismo francese, con un linguaggio semplice che si addice ai pescatori, “eroi” dell’onore domestico, del lavoro e della fedeltà, così li definisce il critico RUSSO. I proverbi sono una delle parti fondamentali dei discorsi dei vinti assieme ad una natura “bella da togliere il fiato, ma tanto crudele”.
Sono tutti “vinti” ma il più “vinto” di tutti è il giovane ‘Ntoni che si è ribellato al suo
destino: “Munnu ha statu e munnu è!” Il romanzo non fu accolto bene. Verga all’indomani del fisco scrive al Capuana “Se dovessi tornare a scrivere quel libro, lo farei come l’ho fatto”.

Aveva ragione! Perchè se in Italia “I Malavoglia” fu accolto male; in Francia, grazie alla traduzione di Eduard Rod, venne accolto benissimo da fare dire ad Emile Zolà: “Uno solo, Verga, a noi scrittori ci fa cascare la penna di mano” riconoscendo così il valore letterario del grande scrittore catanese. Il linguaggio dei “Malavoglia” è moderno, consone all’ambiente; la ricerca dei sicilianismi, dei proverbi, la cantilena dei suoni rivelano la sintassi degli “umili” tanto cara ad Alessio Di Giovanni e a Pirandello che basò la sua tesi di laurea sui suoni e la parlata giurgintana.
Fresche e felici sono le immagini delle ragazze che animano “I Malavoglia”: Mena, Lia, Nunziata… i loro pettegolezzi, le loro delusioni, le loro speranze, i loro sogni… ricordano il “coro greco” e molti di questi temi li ritroveremo in Pirandello. Se ne “I Malavoglia” troviamo l’influenza del “Naturalismo” in “Mastro Don Gesualdo” nelle “Opere Rusticane” e nel romanzo “Dal tuo al mio” si avverte l’idea del progresso insita del “Positivismo”.
La sua socialità poggia su ideali che danno credito alla lotta di classe, come strumento di ascesa sociale che viene approfondito in “Mastro Don Gesualdo” con il quale raggiunge la sua maturità artistica.

Protagonista è la “roba” amorevolmente fatta con duro lavoro e mani callose… “Mazzarò” è l’esempio più lampante. “Gesualdo” è un manovale arricchito; divenuto mastro, m non si accontenta della sua condizione sociale e sposa una nobile decaduta Bianca Trao, sarà la sua fine! Verrà sfruttato dai parenti poveri, deriso dai ricchi e, dai paesani che non gli perdonano questo salto sociale. Si salva solo la serva Diodata che lo aspetta, docile come un cane, che gli dà dei figli “bastardi” che lui non riconoscerà, nel silenzio della sera. Mastro Don Gesualdo rinunzia all’amore di Diodata e morirà mentre si vede spogliato dalle sue ricchezze: impotente. Anche lui è un “vinto”; il Capuana definisce questo romanzo: “Un anello fondamentale, della catena dell’arte” perchè il Verga contrappone alla flaccida inerzia dei ricchi la sanità fisica e morale dell’opera dell’uomo.

Non dobbiamo dimenticare che il Verga affrontò il tema della “Mafia” ma soprattutto della mentalità mafiosa, nella novella “La chiave d’oro” che Leonardo Sciascia da “topo di biblioteca” portò alla luce definendola una delle più belle e meno conosciute del Verga. “La chiave d’oro” si riferisce ad un proverbio siciliano che recita: “A chiavi d’oru, apri tutti li porti”. Sciascia considera questa novella un passaggio fondamentale su cui lo scrittore catanese avrebbe articolato la “sua storia morale” della giustizia negata alla “gintuzza” e che garantisce i galantuomini. Quindi non mafia di lupara ma di “mentalità mafiosa” e di “sopraffazione”. Verga aprì una strada nuova, ampia, non irta di difficoltà. In tanti la seguirono, percorrendola con convinzione.

Ecco Pirandello con Liolà, La giara, lo scontro tra padroni e sottoposti: Don Lollò e ‘Zi Dima; ‘Zu Simuni e Liolà; attorno contadini, carusi, carrittera, sfruttati, gente umile. E va ricordata la poesia del dolore di “Ciaula scopre la luna”. E sempre Pirandello ci parla di coloro che portavano blocchi di zolfo sulle spalle per caricarli sulle navi della Marina oggi Porto Empedocle. Lo narra nel suo Romanzo “I vecchi e i giovani”.

Ci sono in tempi più recenti del Novecento una serie di autori che si impegnano nel raccontare gli “ultimi”, le loro sofferenze ma anche la loro dignità.

Li citerò brevemente:

CESARE PAVESE “LA LUNA E I FALO’”; IGNAZIO SILONE “FONTAMARA”; ROCCO SCOTELLARO “CONTADINI DEL SUD e L’UVA PUTTANELLA”; GRAZIA DELEDDA “CANNE AL VENTO”; CORRADO ALVARO “CONTADINI DI CALABRIA”; IGNAZIO BUTTITTA “LA PEDDI NOVA”; DANILO DOLCI “BRIGANTI A PARTINICO”; ALESSIO DI GIOVANNI “GABRIELI LU CARUSU, SCUNCIURU”.

Va ricordato che c’era una notevole stima tra il Di Giovanni e il Verga. Si scrivevano a vicenda lettere su vari argomenti.

Di Giovanni inviò a Verga un suo libretto dal titolo “U fattu di Bisanna”, una storia di tradimenti conclusasi tragicamente. Verga da questo “fatto” si ispirò per la sua opera “La lupa” che si conclude pure con l’uccisione della protagonista. Di Giovanni più volte invitò il Verga a scrivere in Siciliano “perchè certe storie sarebbero state più intense e vere”; ma l’autore Catanese rispose che preferiva l’Italiano per poter far conoscere a tutta l’Italia le vicende degli umili. A livello esteso voglio ricordare: FEDERICO GARCIA LORCA “NOZZE DI SANGUE”; VICTOR UGO’ “I MISERABILI”; PABLO NERUDA “CANTO GENERALE PER IL CILE”; GABRIEL GARCIA MARQUEZ “CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA”. E parlando del funerale di Giovanni Verga, Concetta Greco Lanza nella sua bibliografia ricorda che attorno alla bara si strinse la “gintuzza”, la povera gente che il Verga aveva rappresentato nelle sue Opere. Al cimitero di Catania sulla lapide Federico De Roberto, l’autore depose le violette di Giselda Fojanese e i fiori di Dina Sordevolo.

Ai giovani che lo studiano dico solo: “Fatelo con amore, con la ragione e con il cuore come Verga amò la sua gente senza badare a critiche d’ogni genere. Fatelo non come dovere scolastico ma come scelta intellettuale: una scelta di vita”.

Enzo Alessi