I “RISVOLTI” DELLA DOMENICA / “Quando eravamo povera gente”
Rubrica a cura di Salvatore Picone
In questa prima domenica d’ottobre, giornata dedicata ai nonni, abbiamo rispolverato un vecchio libro scritto da Cesare Marchi, scomparso nel 1992, il cui nome è rimasto legato alla sua opera Impariamo l’italiano. S’intitola Quando eravamo povera gente. L’italia tribolata dei nostri nonni raccontata agli ignari e benestanti nipoti, pubblicato nel 1988 da Rizzoli. Ed è un racconto dell’Italia dei nostri nonni e bisnonni, con le belle e genuine sagre paesane, il valore del buon cibo a tavola, senza sprechi, della conversazione sana e dell’ascolto dei racconti, dei canti dei contadini, degli amori fatti solo di sguardi. Il risvolto del libro dice tutto, c’è poco da aggiungere. E anche se il libro è stato pubblicato quasi trentacinque anni fa, cercandolo nella rete lo si trova facilmente, presentato in diverse ristampe. Ci è sembrato opportuno, perciò, rileggerlo e consigliarne la lettura. E, naturalmente, ne approfittiamo per abbracciare tutti i nonni, patrimonio dell’umanità, e ricordare quelli che non ci sono più.
Quando si andava a prendere l’acqua al pozzo (sperando, se era inverno, che non fosse gelata); quando i contadini erano tanti e gli operai pochissimi; quando (se tutto andava bene) si mangiava la carne solo di domenica; quando i ragazzi si dicevano “Ti amo” arrossendo; quando un viaggio di trenta chilometri era un’avventura che poi si raccontava agli amici; quando il sabato ci si metteva in camicia nera e si doveva inneggiare al “duce che ci conduce”; quando la parsimonia era considerata una virtù; quando, per sembrare eleganti, si rivoltavano le giacche e si rammendavano i calzini; quando…
Quando la maggior parte dell’Italia era fatta di povera gente, quando per scrivere una lettera d’amore si ricorreva ai consigli del Segretario galante, quando si doveva partire per la guerra volontari per forza.
In questo libro Cesare Marchi ci accompagna alla scoperta (anzi, alla riscoperta) di un’Italia che non era ancora una delle sette nazioni più industrializzate dell’Occidente, di un’Italia dove la povertà non era una colpa e tanto meno una vergogna, di un’Italia dove fiorivano cento mestieri ormai scomparsi, di un’Italia dove ci si commuoveva ascoltando le strofette ingenue di una canzonetta.
Un libro dolce e nello stesso tempo sapido e malizioso, giocato sul filo del ricordo, della nostalgia ma anche dell’ironia, che ci guida in un sorridente viaggio in un’Italia che – forse – è stata dimenticata troppo presto; un libro scritto con finissimo humour, garbata satira e un pizzico di rimpianto; un libro fatto di tante piccole cose ormai scomparse e dimenticate che all’improvviso diventano affascinanti, dolcissime e sorprendenti, perché quando Cesare Marchi racconta…