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“Cento anni fa moriva Napoleone Colajanni, chi si ricorda di lui?”

Lettera di Lino Buscemi

Pubblichiamo di seguito la lettera che il giornalista e storico Lino Buscemi, curatore delle rubriche “Un libro, una Storia” e “La Strada della Storia” ha inviato al direttore dell’associazione Strada degli Scrittori con la quale si ricorda il centenario dalla morte del grande politico e intellettuale Napoleone Colajanni.

Un vero e proprio appello al mondo della Cultura e della Politica affinché si ricordi la memoria di un tanto illustre conterraneo. 

“Caro Felice,  nell’Italia in cui abbondano ripetitive ( costose) manifestazioni celebrative di ogni tipo può accadere che non poche importanti ricorrenze vengano trattate, secondo i gusti o gli interessi prevalenti,  in maniera protocollare o sottotono.  Talvolta, alcune di esse,  subiscono, invece, la generale disattenzione pur meritando ben altro. Non so se il “silenzio” che, per ora, caratterizza l’imminente centenario (previsto per il 2 settembre 2021) della morte di una personalità come Napoleone Colajanni sia ascrivibile a “generale disattenzione”, a disguidi organizzativi,  oppure a una precisa volontà politica  che predilige l’oblio  a scapito del doveroso ricordo.

Certo è che un evento rilevante (e il centennale della morte di Colajanni lo è di sicuro) non si può organizzare dall’oggi al domani, né tantomeno a ridosso del 2 settembre. In casi simili, pur in presenza di fatti pandemici, di norma, si è provveduto a programmare ogni attività in memoria con largo anticipo (almeno un anno prima o più, come si è visto per le celebrazioni dantesche).
Pensar male non è sempre buona cosa. Come qualificare, allora, il “silenzio” del Parlamento italiano? E che dire di quello non meno significativo del competente assessorato della Regione siciliana e degli enti locali territoriali dove Colajanni nacque, visse e morì? Per tacere dell’analogo “silenzio” delle Università siciliane e di quelle romane. Se tali istituzioni qualcosa hanno “progettato”, non è dato sapere. Probabilmente  non è stato fatto nulla, perché, altrimenti, le redazioni dei giornali sarebbero state inondate da circostanziati comunicati stampa.
Lino Buscemi

E allora?  Penso, caro Felice, che la “Strada degli Scrittori”, da te diretta, debba valutare, a tutela soprattutto della memoria storica e collettiva, di farsi carico di avviare una serie di iniziative per ricordare adeguatamente ai nostri contemporanei, soprattutto giovani, la figura, il pensiero e le battaglie sociali, culturali e politiche di un grande italiano, nato e cresciuto nella nostra Isola, come Napoleone Colajanni. La Sicilia, terra da lui tanto amata e difesa, deve molto, ancora oggiall’insigne  studioso e uomo politico.

Colajanni nacque a Castrogiovanni (oggi Enna) il 27 aprile del 1847 e si spense nella sua città natale il 2 settembre 1921. Deputato alla Camera dal 1892 fino alla morte. Militò nell’opposizione “estrema” repubblicana e radical-socialista. Fu un parlamentare fra i più autorevoli e ascoltati, ma anche un prolifico e prestigioso giornalista (fondò e diresse diverse riviste), un gustoso polemista, un acuto sociologo ed economista, un rigoroso professore universitario, un ottimo popolare medico della sua Castrogiovanni. In questa città, che il regime fascista ribattezzò Enna, ricoprì per lunghi anni la carica  di assessore e consigliere comunale.
Avversario dichiarato e battagliero di Francesco Crispi  e Giovanni Giolitti, si schierò sempre dalla parte dei lavoratori e per la libertà, in difesa del Mezzogiorno e di un aperto regionalismo. Denunciò senza peli sulla lingua, in coerenza con la sua concezione morale ed etica della politica, lo scandalo della Banca Romana (intreccio perverso di indicibili affarismi fra politici e banchieri), provocando la caduta del primo ministero Giolitti (1893). Respinse sdegnosamente l’assurda tesi antropologica di Cesare Lombroso della “razza” come “causa unica” dell’arretratezza meridionale.
Nel 1900 pubblicò il pamphlet “Nel regno della mafia”, un’opera  coraggiosa e incisiva, ancora oggi utile e valida, per l’acutezza dei giudizi e per le soluzioni  prospettate. Il libro costituisce un contributo serio e maturo allo studio del fenomeno mafioso e risulta un qualificato esempio per quanti, ai giorni nostri, combattono la piovra, non solo giudiziariamente, senza mai far seguire alle parole i fatti.
Rimasero sempre presente in Colajanni gli ideali mazziniani repubblicani (nei quali si era forgiato), anche quando si accostò al socialismo positivista ed evoluzionista di fine ‘800. Si intestò, senza esitazioni, la causa dei “carusi” delle miniere di zolfo, dei pastori, dei braccianti e dei contadini poveri del latifondo, proponendo, per il riscatto morale e civile  della Sicilia e dell’intero Sud, la diffusione della cultura e la presa di coscienza politica delle masse. Ciò non lo distolse dall’avversare, al tempo stesso, la politica di Giolitti tutta indirizzata a privilegiare lo sviluppo economico del Nord Italia.
Nondimeno il 100° anniversario della sua scomparsa rischia, per i motivi indicati, di non lasciare alcuna eco: eppure i motivi di riscoperta della sua attualità sono molti. Dal regionalismo al meridionalismo, dalla lotta alla mafia ad una concezione etica e responsabile dell’impegno politico. Napoleone Colajanni ha il torto  di non essere stato adepto di nessuna “chiesa”. Da qui, a giudizio non solo di chi scrive, il pressoché totale oblio della cosiddetta politica (nazionale e locale) priva di ideali e sovente lontana dalla gente. Ieri come oggi.
Forse è proprio questo oblio ad accreditare il coraggio e l’opera di Colajanni che concluse il suo saggio sulla mafia con queste parole : “Il regno della mafia in Sicilia non cesserà se non il giorno in cui con una vera instauratio ab imis i Siciliani acquisteranno la libertà vera, il diritto e i mezzi di punire i prepotenti, di mettere alla gogna i ladri e di assicurare a tutti la giustizia giusta!”.  Con il senno di poi, alla luce anche dell’acuta intuizione di Sciascia sul superamento della linea della palma, è augurabile che l’auspicio di Colajanni susciti entusiasmo non solo nell’Isola ma nell’intero Paese afflitto, ahinoi, dai medesimi mali siciliani e da un destino cinico e baro. 

Lino Buscemi