I “RISVOLTI” DELLA DOMENICA / “Karìbu”
Rubrica a cura di Salvatore Picone
Questo libro è una testimonianza d’amore di una mamma siciliana, di un medico che andata nello Zambia solo per pochi mesi è finita per rimanerci. Il destino l’ha portata lì per realizzare progetti importanti, sempre a fianco dei più deboli, dei bambini. Karìbu (Infinito Edizioni) è la testimonianza di Cristina Fazzi che ha scritto questa storia con la giornalista Lidia Tilotta. La storia di una donna incredibile che tutti dovrebbero conoscere: “Nella lingua bemba, la più parlata nello Zambia, karìbu vuol dire ‘benvenuto’ – spiega Lidia Tilotta nelle pagine introduttive – . Con Cristina abbiamo pensato fosse il titolo più giusto per questo libro. Benvenuti nella vita avventurosa di una donna fuori dal comune”.
La vita straordinaria e il lavoro di Cristina Fazzi, mamma, medico, donna fuori dal comune, sospinta da una forza incredibile. Lasciata Enna nel 2000 per trasferirsi momentaneamente nello Zambia, Cristina sarebbe dovuta rientrare in Italia dopo sei mesi, invece non è più tornata e da allora ha realizzato progetti impensabili in un’area vastissima del Paese, portando medicinali, vaccinando e visitando decine di migliaia di bambini; realizzando pozzi e strutture sanitarie; lottando contro la malnutrizione; scontrandosi con pregiudizi e superstizioni per combattere l’ignoranza e malattie come l’Aids. E la storia, la sua, di una battaglia senza sosta contro miseria e ingiustizia e per l’affermazione di un nuovo modello di sviluppo che ripensi totalmente i rapporti di forza internazionali. Ma anche la vicenda di una donna che da single si è battuta e ha vinto perché l’Italia riconoscesse l’adozione zambiana di suo figlio Joseph. E di figli, in affido perché non adottabili, oggi ne ha altri sette. “Non avrei mai immaginato di partire per lo Zambia. Non ho mai avuto lo spirito missionario. Non nel senso comune del termine. O meglio, consideravo il mio lavoro una missione perché l’ammalato, colui che soffre, ha bisogno di aiuto ovunque si trovi. Sono una gran fifona e l’idea di dover andare in un Paese descritto come pieno di pericoli non mi sfiorava nemmeno, non mi era mai balenata neanche nell’anticamera del cervello. A volte, però, il caso cambia il nostro percorso, il nostro destino. E così è stato”. “In tutti questi anni sono venuti a trovarmi tanti amici. Vogliono capire, toccare con mano ciò che faccio, e vogliono anche dare un aiuto, per ciò che sanno e per ciò che possono. E una cosa che rafforza il filo rosso che lega il mio lavoro qui alla percezione che ne ha chi vive lontano da qui. Ma è anche e soprattutto un conforto. Mi aiuta a credere che non sono considerata una pazza visionaria rinchiusa in una bolla ma un frammento di un puzzle animato molto più grande”.