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Il Ministro Provenzano ricorda Sciascia: “Con lui ho provato tutti gli errori e le speranze del mondo”

Pubblichiamo il contributo del Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale Giuseppe Provenzano alla #MaratonaSciascia realizzata dalla Strada degli Scrittori sui propri canali social.

Sono nato e cresciuto in un piccolo paese, di alta collina, in mezzo alla Sicilia. La casa si apre su una ampia vallata, dove si incanala in primavera un forte vento. La veranda è esposta a sud est. Di giorno, è canicola la più parte dell’anno. Le mattine d’inverno sono gelide. A due chilometri, il mio paese finisce. E inizia Racalmuto. Per raggiungerla, bisogna attraversare una miniera di sale.

È la Sicilia interna, la Sicilia arida, di quella bellezza che ti prende lentamente, o più quando se ne è lontani, nel ricordo”, scriveva lui. Una bellezza che per cui “ci vuole tempo, ci vuole intelligenza”. In casa mia c’erano pochi, pochissimi libri. E tra questi, alcuni di Leonardo Sciascia. Ho cominciato a leggerli che ero già ragazzo. Ad accorgermi che nulla sapevo di me e del mondo – anche del piccolo mondo intorno, del paese – se non l’apprendevo lì, in quella letteratura. In quello specchio. Nero su nero.

A cent’anni dalla nascita, vale anche per me quel suo ammonimento, che dovrebbe scoraggiare parole fuori luogo. “La morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restano”.

Io non l’ho conosciuto. Alla contrada Noce, abitava d’estate una mia maestra elementare. Ogni tanto andavamo a trovarla coi miei. Da lì, mi indicavano la casa di Sciascia. Io non capivo. Cioè, capivo quello che un bambino sa capire. E nulla sapevo ancora della penna come spada, della lingua che può farsi asciutta e tagliente, come le nostre colline di gesso. E mi sono trovato molte volte, e oggi qui, dopo tanti anni, a chiedermi: come si può avere così acuta nostalgia di un uomo che non hai mai conosciuto?

È che dopo avere letto i suoi libri, e alcuni dei libri che aveva letto lui, ho capito che nella vita non si apprende solo dai libri. E molto, quasi tutto, si apprendere dagli uomini. Ci sono stati uomini, attraverso cui, negli anni, lontano dalla Sicilia, sono sempre tornato un po’ a casa, sempre tornando a Sciascia. Adriano Sofri, Massimo Bordin, e soprattutto l’uomo che sarebbe diventato per me un faro, Emanuele Macaluso. Parlavamo di quanto credesse nella giustizia, fino all’ossessione. E che questo forse è un certo modo di essere siciliani. Come si può? “Con difficoltà”.

Credeva nella giustizia, secondo ragione e diritto. Una giustizia che dev’essere fatta anche di sostanza. E quella sostanza, io credo, e credo fosse così anche per Sciascia, è nella giustizia sociale.

Il libro fra tutti prediletto, non a caso, con il personaggio (storico) a Sciascia più caro e la tentazione di riscriverlo che non lo abbandonerà per tutta la vita, come alla ricerca di una più profonda verità, è Morte dell’Inquisitore. Forse proprio perché non arriva a dimostrare ciò che nel gioco delle supposizioni può invece ipotizzare, e cioè che l’eresia del suo compaesano, Fra’ Diego La Matina, fosse un’eresia “sociale”.

È il sentimento dell’ingiustizia che muove le idee, gli uomini, il suo mondo. Per Sciascia, fu segnato dalla conoscenza profonda dell’universo morale in cui è maturata, e a cui sempre è rimasta ancora, la sua vocazione di scrittore. La compassione per i poveri di Regalpetra, per i bambini a scuola, per i minatori. E la miniera che segnò col dramma la sua stessa vita.

È lo Sciascia giovane, uno Sciascia “sociale e spagnolo”, rimasto forse un po’ in ombra, nella memorialistica, rispetto allo Sciascia maturo, lo Sciascia “civile e francese”, celebrato per le sue battaglie illuministe, radicali, liberali. Francia e Spagna, questi sono schematismi, lo so. Ma Sciascia aveva la Spagna nel cuore, e ce l’ho anch’io. E quella tensione sociale legata alle “cose di Spagna”, maturata negli anni dell’antifascismo, si rintraccia in tutta la sua attività di scrittore. Ed è testimoniata dallo straordinario racconto l’Antimonio, sulla guerra civile, con cui termino questi pensieri.

Io credo nel mistero delle parole, e che le parole possano diventare vita, destino; così come diventano bellezza. Tante persone studiano, fanno l’università, diventano buoni medici ingegneri avvocati, diventano funzionari deputati ministri; a queste persone io vorrei chiedere “sapete che cosa è stata la guerra di Spagna? che cosa è stata veramente? Se non lo sapete, non capirete mai quel che sotto i vostri occhi oggi accade […], niente di niente capirete mai: perché tutti gli errori e le speranze del mondo si sono concentrati in quella guerra; come una lente concentra i raggi del sole e dà il fuoco, così la Spagna di tutte le speranze e gli errori del mondo si accese”.

Tutti gli errori e tutte le speranze del mondo, ho provato. Con Leonardo Sciascia.