fbpx

La lezione di Sciascia, un invito a ragionare

di Salvatore Nocera Bracco

Cosa vuol dire essere siciliano: da Sciascia a Ibn Hamdi: le riflessioni, in tre puntate su questo sito, del medicastista Salvatore Nocera Bracco. 

Sciascia in un bar di Racalmuto con un gruppo di amici (foto: Pietro Tulumello)

Dunque, in sintesi cosa vuol dire ‘essere siciliano’ per me? Una consunzione d’amore, che mi costringe a percepirmi Appartenere a una terra popolata e colta, dentro cui Tolleranza e capacità di condividere, non sono frutto di una rinuncia ma di una profonda conquista di sé stessi, permanendo sempre in una relazione sensuale che si fa Grido di un’amante sconosciuta, come l‘anima mia, che si offre continuamente al sogno, per rimanere in una qasida di Ibn Hamdis

L’8 gennaio 1921 Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto. Le ricorrenze sono quanto mai tristi. Quella di Leonardo Sciascia, in particolare, risalta in quest’epoca di COVID, dove sembra delinearsi come l’amplificazione di una memoria che assume sempre più connotazioni nostalgiche, costretti come siamo da circostanze aliene, a rimanere reclusi in una vita ormai decisa da altro, nel nome di una sicurezza sociale da garantire ad ogni costo. Ovviamente. Ma fino a un certo punto. Come rinunciare alla propria Libertà di pensiero e di comportamento, naturalmente sempre dentro il recinto della Giustizia? Per ora, in questo stato di emergenza, meglio evitare inutili discussioni. Non possiamo far altro che aspettare. La tempesta passerà, prima o poi. Conteremo i morti e i feriti. E ci rimboccheremo le maniche per ricominciare da capo. Anche se qualcuno insiste a dire che non sarà più come prima. Anche questo: ovviamente. Vedremo il da farsi, come gestire le inevitabili conseguenze. Qualunque esse siano. Ma almeno una coscienza diversa sta emergendo: Emotività e Razionalità si riconnettono, preparandoci a qualcosa di impensato. È curioso come il compassato Sciascia, dentro i suoi puntuali e all’apparenza distaccati ragionamenti, riesca a suscitare in molti sentimenti contrastanti, alimentando, più che lenire, la contraddizione, che non è soltanto frequentazione intellettuale del Dubbio, ma conditio sine qua per alzare la testa e cominciare a vedere con i propri occhi. A qualcuno, poco abituato a mettersi o a rimettersi in gioco, apparirà molto faticoso, il quieto vivere rimane la sua più grande ambizione, usufruire dei vantaggi dell’otium stando lontani da ogni possibile destabilizzazione, personale e sociale. Sciascia costringe quasi ad alzarsi di scatto, all’improvviso, nel bene e nel male, suscitando l’ammirazione di alcuni, e la proterva reazione di altri, che vedono messe in discussione le loro granitiche certezze di esseri umani e attori sociali, soprattutto di coloro i quali non hanno nessuna intenzione di perdere il loro potere su di una folla con la schiena abbassata, che ha abdicato alla propria libertà in cambio di una ipocrita vita tranquilla sempre ed esclusivamente indirizzata da altri. Ecco, Sciascia ci mette di fronte alle nostre Responsabilità, che non si conquistano colludendo con un Potere precostituito, ma con il coraggio della Ragione. Ragiona, sembra dirti Sciascia, non rimanere recluso nel tuo tepore, metti in gioco le tue capacità, non farti sottomettere. E questo, soprattutto oggi, dà troppo fastidio a molti.

Racalmuto è il “paese della ragione”, sembrerebbe quasi senza alcun merito. Ma ha dato i natali soprattutto a lui, a Nanà ‘u scrivanu, come lo descrissero bonariamente alcuni anziani interpellati da un giornalista televisivo che si aggirava per Racalmuto chiedendo notizie del grande scrittore, non tanto Nanà, quanto ‘u scrivanu: – S’aspetta tanticchia lu vidi arrivari.

Sciascia al Circolo Unione di Racalmuto alla fine degli anni ’80 (foto: Pietro Tulumello)

 

E in effetti arrivava, Nanà, nomignolo affettuoso, quasi ad accentuarne l’aspetto teneramente amicale, di confidenza, che solo pochi potevano permettersi con lui. Pochi in senso di consapevolezza intellettuale, intendo. E questi pochi amici veri Leonardo Sciascia li frequentava al circolo Unione di Racalmuto, il luogo dove arrivava, quando soggiornava alla Noce. Circolo Unione, un nome molto evocativo. La sua azione è stata in grado di generare, nel bene e nel male, una nuova specie di pensanti – sempre pochi, per la verità – in grado finalmente di produrre proprie idee, di riflettere autonomamente, di attuare un processo critico e soprattutto di avere il coraggio di esprimerlo. Anche in coloro che erano e sono tuttora in polemica con lui, non foss’altro che per reazione.

Salvatore Nocera Bracco

Partecipando ad eventi che lo riguardano, mi sorprendo di come le sue idee e le sue affermazioni siano ancora oggi in grado di suscitare accesi dibattiti, fino a veri e propri scontri verbali. Un ulteriore modo, per così dire postumo, di mettere in discussione il pensiero unico dominante. E mi diverte pensare che fosse proprio una specie di contraddizione, di ossimoro, uno dei suoi principi fondanti: la fede nella ragione. Supportata dal coraggio delle proprie idee: “La Sicilia non ha futuro perché i siciliani non credono nelle loro idee. In siciliano manca persino il tempo verbale del futuro”. Ho solo citato a memoria. Mi toccò scomodare l’Abbate Meli che aveva approntato fin dal ‘700 – il secolo dei lumi che stava molto a cuore a Sciascia – una grammatica siciliana in cui invece era presente anche l’indicativo futuro almeno dei verbi essere e averesarrà … averrà … con l’indicazione di raddoppiare l’ultima consonante del corrispettivo italiano per ottenere il futuro degli altri verbi. Tuttavia, con il passare del tempo, compresi invece che Sciascia, malgrado tutto, aveva ragione. Se un futuro lo avessero mai avuto, i siciliani lo avevano dimenticato – altro paradosso linguistico molto caro a Sciascia. A me viene in mente un fatidico e suggestivo dumani penza Diu. Per questo Sciascia venne considerato “…un eretico con il culto dell’opposizione, un anticonformista delle idee sempre pronto a dare battaglia, instancabile combattente in un paese di opportunisti (…). Il percorso della sua eresia è tutto nei suoi libri. Ogni libro un capitolo” (Matteo Collura – Il maestro di Regalpetra – La Nave di Teseo).

– continua –