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“Napoleone Colajanni, colonna portante della nostra Storia”

di Felice Cavallaro

Felice Cavallaro, direttore della “Strada degli scrittori”, risponde alla lettera di Lino Buscemi sul siciliano che a fine Ottocento in Parlamento fece “scoppiare” lo scandalo della Banca Romana e in Sicilia denunciò gli intrecci affaristico-mafiosi. Una figura da non dimenticare e da far conoscere ai giovani, nel centenario della scomparsa

Ti sono molto grato, caro Lino, per questo input che sarà certamente raccolto dalla “Strada degli scrittori” anche perché, fra le tante nostre nuove rubriche, abbiamo recentemente aperto quella da te spesso percorsa, la “Strada della Storia”.

Mi auguro vivamente che la pubblicazione del presente volume e le importanti riflessioni che contiene scuotano chi a Roma e a Palermo, nel governo e all’opposizione, nel mondo culturale e soprattutto in quello universitario, dovrebbe avvertire la necessità di contribuire ad un obbligatorio esercizio della memoria su una figura come Napoleone Colajanni, il siciliano che a fine Ottocento in Parlamento fece “scoppiare” lo scandalo della Banca Romana.

Fu grazie a questo garibaldino della prima ora, in Aspromonte a 15 anni, poi rimasto in Parlamento per numerose legislature, che la Camera dei deputati e l’Italia intera il 20 dicembre 1892 scoprirono le trame sugli ammanchi milionari di una istituzione pronta a foraggiare sottobanco imprenditori, uomini politici e perfino il re.

Si sussurrava da tempo di una inchiesta, allora insabbiata, si disse, per volere di un altro discusso siciliano, Francesco Crispi, con la giustificazione di non creare scossoni al già barcollante sistema creditizio italiano. Ma solo la voce di Colajanni, mazziniano e professore universitario a Palermo, fece uscire la verità dalle secche di un sospetto silenzio. Con la conseguenza di un arresto eccellente, quello del governatore della Banca Romana, in cella meno di un mese dopo, il 19 gennaio 1893. Accuse pesanti rimbalzate su Giovanni Giolitti, costretto a dimettersi da presidente del Consiglio, sostituito però da Crispi come capo del governo per la terza volta.

Non a caso le strade fra Colajanni e Crispi sono destinate, fra polemiche, a dividersi. Anche perché dieci giorni dopo, sempre alla Camera, Colajanni tuona contro  una strage consumata a Caltavuturo dove i militari spararono contro operai e contadini alla fame, uccidendone 13, dura violenta risposta ai “Fasci siciliani dei lavoratori” nati due anni prima.
Sono alcune delle scosse che cominciano a far tremare molti importanti grandi imprenditori a cominciare dai Florio, mentre si mobilitano in tanti per loro. Non solo lo stesso Crispi o Camillo Finocchiaro Aprile, ministro delle Poste, ma anche un deputato obliquo come Raffaele Palizzolo, assolto, per un cavillo, dopo essere stato indicato come mandante del delitto di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo e direttore generale del Banco di Sicilia, ucciso il 1^ febbraio 1893, a poche settimane dalle denunce di Colajanni sugli ammanchi della Banca Romana e dall’impetuosa difesa dei lavoratori. Pronto questo deputato, oggi da tanti dimenticato, ad analizzare gli intrighi di quell’omicidio eccellente denunciando gli intrecci affaristico-mafiosi anche attraverso il testo che qui si ripropone, “Nel regno della mafia”. Pagine che con gli amici della “Strada degli scrittori” rileggeremo e faremo rileggere invocando subito la dovuta attenzione su una colonna portante della nostra Storia. L’attenzione dei presidenti delle Camere, dei presidenti della Regione Sicilia e dell’Assemblea siciliana, del mondo accademico, di partiti e sindacati, dei difensori dei lavoratori. Se ce ne sono.

Felice Cavallaro

LEGGI LA LETTERA DI LINO BUSCEMI

“Cento anni fa moriva Napoleone Colajanni, chi si ricorda di lui?”