Operazione Gattopardo, tra ideologie e capolavori
(da Il Giornale del 20 luglio 2017)
Un libro di destra. Un film di sinistra. Possibile che un romanzo di destra si trasformi nella trasposizione in un film di sinistra? A parere di Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice, nel loro informato e godibile Operazione Gattopardo. Come Visconti trasformò un romanzo di destra in un successo di sinistra (Le Mani, pagine 408, 20 euro) non solo è possibile, ma sin troppo logico. La storia – un vero e proprio spaccato della cultura italiana egemonizzata dai comunisti – comincia con l’uscita di un romanzo epocale.
Tomasi di Lampedusa muore nel 1957, l’anno successivo Feltrinelli pubblica Il gattopardo, già rifiutato da Vittorini. Le vendite sono buone. Rinascita, il settimanale del Pci governato da Palmiro Togliatti, spara sul romanzo a palle incatenate. Il Contemporaneo, mensile del Pci, è ancora più duro. Mario Alicata, braccio armato del «togliattismo culturale», fissa la linea. Il Gattopardo è l’espressione di un’ideologia reazionaria, che non ha capito niente del Risorgimento, della rivoluzione proletaria, della lotta di classe, di Gramsci. A modo suo ha ragione. Il romanzo è letterariamente decadente e politicamente conservatore. Tradotto in Francia, viene recensito da Louis Aragon, un tempo surrealista e comunista di prestigio indiscutibile: secondo lui è un capolavoro. Togliatti capisce che bisogna ancora una volta cambiare strada. Annuncia su Rinascita l’ennesimo «contrordine compagni». Che volete, ci siamo sbagliati, e a ricordarcelo è Aragon, del quale viene pubblicato il testo. Ma è solo il primo passo. Ad Alicata toccherà firmare la prefazione dell’edizione russa (non pubblicata in Italia).
A questo punto arriva Luchino Visconti: il «conte rosso», l’aristocratico comunista. Visconti è una vecchia volpe: regista straordinario, artista di statura immensa. Chi meglio del «Conte rosso» può riuscire nella difficile operazione di trasformare un romanzo di destra in un successo di sinistra? Lui ci riesce. Ma a modo suo. Cioè facendo finta. Parla, rilascia interviste, è a stretto contatto con Antonello Trombadori (incaricato dal Pci di sorvegliare la sceneggiatura). Si dichiara un buon comunista, e giura che il suo è il film di un buon comunista. Dopo una lunga, sofisticata e costosa lavorazione, licenzia nel 1963 Il Gattopardo. Un grande film. Un protagonista indimenticabile: Burt Lancaster. Una scena monumentale: il ballo interminabile. Luchino con la sua opera sterminata però delude i comunisti.
Il film non è il capovolgimento ideologico nel quale speravano. Alcuni lo scrivono, come il più agguerrito sostenitore di Visconti, l’autorità più influente della critica comunista, Guido Aristarco. Togliatti si dimostra più astuto. Affida un biglietto per Luchino a Trombadori, vergato col solito inchiostro verde, zeppo di elogi. E a un giornalista dichiara di aver visto il film una seconda volta, trovandolo più bello della prima. Il Gattopardo di Visconti vince la Palma d’oro al festival di Cannes. Il senso di questa storia? I film, come i romanzi, soffrono se giudicati politicamente. Il Gattopardo di Visconti non è un film di sinistra, né più né meno del Gattopardo di Lampedusa, che non è un romanzo di destra. Sono entrambe due grandi opere della cultura italiana. La mentalità che cercò di ingabbiare nella ferraglia ideologica Lampedusa e Visconti non esiste più.