Sciascia e il suo modo di fare letteratura a noi vicina
I LIBRI LETTI DAI RAGAZZI Abbiamo chiesto ai protagonisti della rubrica “La Strada delle ragazze e dei ragazzi” di raccontarci una trama, esponendo una emozione legata a una lettura. Un esercizio di scrittura in linea con le attività della “Strada degli scrittori” aperta da sempre alle collaborazioni dei più giovani. Iniziamo con Clelia Calandra che ci introduce alla lettura di un classico: Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia
In quest’anno tanto importante e difficile, ricorrono i cento anni di Leonardo Sciascia. Qualche tempo fa, lessi per la prima volta Il giorno della civetta senza aspettarmi granché. Non sono una lettrice onnivora purtroppo e preferisco non approcciarmi ad argomenti o autori che in passato trovavo non conformi ai miei gusti oppure ostici. Tra le mie precedenti letture figuravano soltanto Il consiglio d’Egitto e Morte dell’Inquisitore, testi letti al Liceo che mi avevano lasciato a dir poco insoddisfatta. Quando però ho iniziato Il giorno della civetta, è cambiato tutto. Difficile ormai approcciarsi ad un autore che parla della “solita” mafia. Eppure è sorprendente come questo romanzo sia ancora attualissimo, di scorrevole lettura e dotato di una capacità immaginifica tanto potente.
“…come la civetta quando di giorno scompare“. Questa è la magnifica citazione tratta dall’Enrico VI di Shakespeare che apre il romanzo di Leonardo Sciascia e ne costituisce una perfetta sintesi. Si parla di mafia, di Sicilia, di Italia, di politica, ma anche di giustizia. Tutto è riassunto nella figura emblematica della civetta, attiva nel buio segreto della notte, inesistente alla cieca luce del giorno. La metafora ci appare chiara già dalle prime pagine di questa breve opera: “Noi due, siciliani, alla mafia non ci crediamo“. Sciascia crea un assoluto capolavoro della letteratura siciliana, non solo per le tematiche trattate, ma anche per l’effetto straniante che genera la sua analisi di un sistema politico corrotto e di un male tanto forte da contagiare un’intera nazione che, volente o nolente, si fa contagiare.
Il capitano Bellodi, protagonista della nostra storia, dal Nord Italia viene trasferito in una cittadina siciliana in provincia di Palermo. Il suo incarico è quello di investigare sull’uccisione di tale Salvatore Colasberna, presidente di una piccola impresa edilizia della zona. Bellodi si trova subito a doversi confrontare con la profonda omertà dei compaesani della vittima che preferiscono sempre non dire e non sapere. Bellodi, tuttavia, ha già capito tutto e attraverso un’accurata indagine giunge ad interrogare Don Mariano Arena, boss della malavita che tuttavia si mostrerà riconoscente al capitano poiché, a differenza di tutti gli altri quaquaraquà, egli è mosso da un onesto senso di giustizia e rispetto.
Un giallo di cui il lettore conosce già il colpevole. Un intrigante investigatore, intelligente e brillante.
La disperata ricerca di una giustizia che non arriva da nessuno se non dai capi mafia che, senza problema, offrono protezione e pretendono il pizzo.
La rabbia contro la falsa indifferenza di politici e governo di fronte alla malavita. Casi di omicidio che si intrecciano in un’enorme matassa di mandanti, scagnozzi e traditori. Il tutto è nascosto dai Siciliani stessi che per convenienza o paura, preferiscono abbassare lo sguardo e tapparsi bocca e orecchie. Allo stesso tempo osserviamo però anche la sottile analisi di una differenza. Quella tra le due cosche della malavita: la prima rappresentata dalla mafia antica, quella degli appalti pubblici e dei rapporti con i politici; la seconda, la mafia giovane, impulsiva e priva dei pur deviati “valori” della vecchia guardia.
Tutto questo raccontato con lo stile unico dell’autore che qui offre una lettura con schema narrativo di stampo cinematografico. Tramite la sua prosa, infatti, Leonardo Sciascia presenta al lettore quasi una sceneggiatura, immergendolo nella definizione di due opposti punti di vista che si susseguono nel giro di poche pagine, come separati da tagli di montaggio. Una sorta di soggettiva libera indiretta domina, a parer mio, i lunghi dialoghi rendendoli sempre dinamici e interessanti, passando velocemente dal point of view di un personaggio a quello del suo interlocutore. Un’aspra critica viene mossa poi alla cosiddetta Questione Meridionale, definizione mirata ad identificare la difficile condizione in cui il Meridione versava in quegli anni, decisamente sbrigativa secondo Sciascia che spiega come da un lato questa clamorosa “questione” non fosse altro che la mafia e come dall’altro fosse un male andato già oltre quel “meridionale”, giunto ormai a Roma, in quel Parlamento di una delle scene finali del romanzo.
Sciascia, in conclusione, osserva da vicino vizi e virtù di due collettività opposte, ma conviventi: forze dell’ordine e mafia , svelandone i motivi conduttori e la stretta correlazione. Tutto ciò viene mostrato al lettore dai personaggi stessi, emblemi di due dimensioni differenti. L’abuso di potere di alcuni poliziotti, la loro corruzione e la spesso totale noncuranza delle prove sono in forte opposizione alla Famiglia mafiosa, simbolo della società intera, ente supremo a cui portare rispetto e riconoscenza.
In definitiva, faccio appello a tutti coloro che non amano leggere dei difetti della Sicilia e a chi, come me, non ha vissuto quella famosa Questione Meridionale, ma ancora ne osserva le conseguenze. Leggere Sciascia non è solo leggere di mafia, è un’esperienza emozionante e avvincente, un modo di fare letteratura più vicino a noi di quanto pensiamo.