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Sciascia, Montalbán e il disordine della realtà

di Salvatore Nocera Bracco

2/ Cosa vuol dire essere siciliano: da Sciascia a Ibn Hamdi: le riflessioni del medicartista Salvatore Nocera Bracco. 

Leonardo Sciascia, Myriam Sumbulovich e Vázquez Montalbán 1989 (Foto Ferdinando Scianna)

Tra le altre cose – e ce ne sarebbero tante di cose da dire, per quanto tutto sembra esser stato detto! – mi ha molto colpito l’incipit di uno scritto su Sciascia, dal titolo: La Sicilia metafora del mondo, di Manuel Vásquez Montalbán, tra gli altri scritti inseriti nel bellissimo libro di testimonianze fotografiche: La Sicilia, il suo cuore. Omaggio a Leonardo Sciascia (Fondazione Sciascia – Kalòs), su cui ogni tanto mi diverto a scrivere più o meno ispirate didascalie con una penna blu: “Nel panorama di una letteratura occidentale, in maggior parte incline alla idolatria introspettiva del linguaggio, per coloro che provenivano da una cultura letteraria di intervento, vale a dire, da una coscienza di scrittori che avevano assunto la responsabilità della relativa influenza sociale e storica del fare letterario, significò avere (in Sciascia) un alleato importante”.

Queste frasi sono risuonate in me potentemente, riportandomi al mio essere scrittore – e mi scuso anticipatamente se qualcuno, sentendomi autodefinire “scrittore”, potesse risentirsene – in cui entrambe queste istanze, l’introspezione e la riflessione civile, frutto del mio sentire letterario di un post-sessantotto vissuto male, si appalesano chiaramente. Lo riconosco, ma non so fino a che punto come un limite. Tuttavia mi ha davvero impressionato la lucidità con cui Montalbán affronta la questione: “Sciascia era il risultato dello scrittore che affronta il disordine della realtà, che cerca di decodificarlo e riordinarlo servendosi dell’architettura letteraria, sia attraverso la finzione che attraverso un discorso analitico implacabile, come nell’Affaire Moro.” Ed erano stati appunto l’Affaire MoroIl contesto e Todo Modo a colpire “la coscienza di lettore” di Montalbán. Scrivere in fondo è un’attività per la maggior parte autoreferenziale, di chi limita “il proprio intervento alla sicurezza procurata dalle quattro pareti propizie del laboratorio letterario”. È così che la letteratura decade a mero esibizionismo di alcuni, al titillamento di un narcisismo condiviso (compreso il mio, naturalmente) in cui prevale la necessità di una conferma, la ricerca ossessiva di un consenso mediatico comunque ottenuto, senza mai sporcarsi veramente le mani né prendere reale posizione se non quella di un comodo punto di vista, da offrire a un contorno di sprovveduti senza guide né riferimenti di ogni tipo, di impegno, di affermazione, persino di ideologie, dall’identità confusa e sradicata da una memoria di tradizioni formanti, il facile riscontro commerciale, da ragionieri metodici della scrittura, che con studiato opportunismo millantano talenti svendendoli al miglior offerente, e il tutto rimanendo comodamente seduti alla poltrona della propria scrivania. Magari di pregio.

Salvatore Nocera Bracco

Ma Leonardo Sciascia delle proprie idee si faceva carico con coraggio – basti citare I professionisti dell’antimafia (Corriere della sera, 1987), o il suo pensiero sulle donne, a cui imputa molti mali della Sicilia (l’Espresso, 1974) – e che all’opposto rimproverava apertamente ai siciliani di non avere: “Più di una volta venne preso di mira dall’ironia interessata che ritengono morto quel genere di intellettuali che pubblicamente diventa coscienza sociale”, questa propensione cioè a farsi voce di un silenzio atavico, la sua voce, senza sostituirsi a nessuno, né avere la spocchia di parlare a nome di altri, prendendosi una responsabilità personale che pochi hanno avuto il coraggio di prendersi, e non certo per un vezzo banalmente ribelle e disubbidiente, dentro cui spesso sguazzano finti guru della (pseudo)cultura italiana, quanto piuttosto della sua necessità di dire le cose come stanno, perché, per ritornare con Montalbán: “…scendeva nell’agone dei media e diceva quel che pensava…”.

A una generazione senza guide, come quella che attualmente si va delineando, chi si propone come riferimento? O cosa? Sciascia ebbe Brancati tra i suoi primi “maestri-guida” nella stessa scuola magistrale da lui frequentata a Caltanissetta, dove si diplomò nel 1941: “… Scuro in volto, annoiato, chiuso. E si aveva l’impressione che alla noia vera, al malumore vero, volutamente aggiungesse un che di discostante, a difendersi da ogni confidenza coi colleghi che stava per incontrare.  Tre o quattro di noi alunni sapevano che era uno scrittore; e soltanto io acquistavo ogni settimana, rinunciando per una sera al cinema, l’”Omnibus” di Longanesi. Ma ne valeva la pena: Barilli e Savinio, gli articoli di Vittorini sugli scrittori americani, i racconti di Caldwell e Sarojan, di un Giovanni Drogo che credo fosse Dino Buzzati, certi rapporti sull’America di Moravia e De Chirico; e che delizia le lettere di Brancati al Direttore! ‘Caro direttore…’ ed era come se da quel tessuto di noia che era la nostra vita di ogni giorno, improvvisamente balzasse nel fuoco di una lente, che lo ingrandiva e lo deformava, un particolare della trama, un nodo o una smagliatura. Pensavo: così si deve scrivere, così voglio scrivere. E ogni mattina guardavo quell’uomo affilato di ironia, cupo, scontroso, quasi ne portasse il segreto, il mistero”. (Nero su Nero – Einaudi).

Sembra un anacronismo. Qualcuno di cui bastava percepire la presenza, senza nemmeno rivolgergli la parola, senza neanche scomodarsi per farsi notare da lui, qualcuno che aveva comunque il coraggio di mostrarsi, e di proporsi, senza probabilmente chissà quale consapevolezza, un ruolo che era implicito in certi intellettuali a cui bastava alzare semplicemente lo sguardo per farsi un’idea chiara e inequivocabile della realtà che lo circondava, in tutti i sensi, e di come il suo solo pensare potesse farsi responsabilmente riferimento per molti. Sarà retorica? Può darsi. Tuttavia un’idea di maestro, di guida, di riferimento, oggi assolutamente improponibile, persa nel mito. Anacronistica, appunto. Irriconoscibile.

– 2 continua –