fbpx

Un antifascista salvò il giornalista del Duce

di Aldo Cazzullo

L’avvocato Enzo Paroli nascose Telesio Interlandi, il direttore preferito da Mussolini. In Giocatori d’azzardo (in libreria dall’11 gennaio per Mondadori) Virman Cusenza ricostruisce una vicenda su cui iniziò a lavorare anche Leonardo Sciascia. Oggi Aldo Cazzullo sul Corriere della sera

Telesio Interlandi con Benito Mussolini

 

«Un incontro raro, di quelli che cambiano la vita. Da una parte un brillante giornalista, Telesio Interlandi, il direttore preferito da Mussolini, temuto dai più per le sue intransigenti campagne razziste, arrestato e misteriosamente scarcerato. Dall’altra uno stimato avvocato figlio d’arte, Enzo Paroli, socialista e antifascista: avrebbe tutti i requisiti per l’aureola che gli faciliterebbe l’ascesa nel nuovo ordine delle cose dopo la Liberazione, ma preferisce vivere sul filo del pericolo. Alterna sprazzi di vita normale nello studio legale a fughe d’amore clandestine con la sorella del peggior squadrista della zona. Ma il suo vero segreto sono le quotidiane incursioni nello scantinato che ha adibito a rifugio, salvando l’appestato numero uno del momento: il superlatitante Interlandi e la sua famiglia».

Aldo Cazzullo

Che cosa spinge un antifascista a salvare la vita a uno dei personaggi più odiosi del regime? È una domanda che interroga l’animo umano, e non a caso ha ispirato libri importanti. Pare la trama di Soldati di Salaminadi Javier Cercas, l’ultimo grande libro civile ad aver venduto milioni di copie in tutto il mondo, che racconta appunto come a guerra finita — e perduta — un repubblicano abbia risparmiato e protetto Rafael Sánchez Mazas, capo falangista (naturalmente stiamo parlando di un’altra guerra civile, quella spagnola). Venendo in Italia, non si può non ricordare A via della Mercede c’era un razzista, il bellissimo libro che a Telesio Interlandi ha dedicato Giampiero Mughini.

La storia del salvataggio di Interlandi per opera di Enzo Paroli la voleva raccontare Leonardo Sciascia; ma la malattia non gliene ha lasciato il tempo. Per fortuna un giornalista importante, Virman Cusenza, a lungo direttore del «Messaggero», ha avuto accesso al dossier in cui Sciascia aveva accumulato carte e appunti. E ha scritto — da italiano, e da siciliano — il libro che Sciascia aveva solo sognato. Il titolo è Giocatori d’azzardo. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista di Mussolini, Mondadori lo manda martedì 11 gennaio in libreria. 

Enzo Paroli qualche anno prima della morte, avvenuta nel 1966 (foto Archivio Famiglia Paroli)

Come tutte le grandi vicende, anche questa parla di noi. È uno spaccato di storia italiana negli anni cruciali della guerra civile. Un coraggioso avvocato, che nasce da un padre fondatore del Partito socialista e di cui condivide la fede antifascista, fino ad andare in galera al suo posto, decide di assumere la difesa di un noto direttore che ha orchestrato la propaganda antisemita del regime e, con i suoi giornali, ne è stato la falange più avanzata. Fino a risultare inviso perfino ai gerarchi.

«Disponiamo oggi di qualche tassello di verità in più — scrive Cusenza — per capire che cosa può averlo convinto a nascondere il fuggiasco, addirittura in casa propria per otto mesi e mezzo (con moglie e figlio), per evitargli un processo con probabile sentenza di morte o una sventagliata di mitra per strada: al punto di correre personalmente il rischio di finire in galera, perdere la professione se non la stessa vita davanti a una più che possibile rappresaglia per mano di zelantissimi giustizieri del momento. Difficile da capire, a distanza di oltre settant’anni, se ci atteniamo al comportamento più consueto tra gli uomini. E il tempo trascorso non fa che amplificare l’eccezionalità del gesto compiuto in quel contesto. 

Virman Cusenza

Secondo Tolstoj, più aumenta la distanza temporale da un fatto più le azioni dei protagonisti appaiono dettate dalla necessità anziché dalla libera scelta. E invece in questo caso assistiamo al trionfo di un atto che ci appare, ancora oggi, del tutto libero e perciò fuori dal comune. Non solo il gesto compiuto dall’avvocato Enzo Paroli è complicato da capire, se non facendo uno sforzo di immedesimazione che ai più riesce arduo. Ma è anche eccezionale rispetto all’assai ricorrente “senso di giustizia” cavalcato opportunisticamente nel corso dei secoli. Si tratta di quel ribaltamento grazie al quale si compie un balzo che produce effetti miracolosi per chi se ne faccia protagonista. Soccorro il vincitore scaricando il vinto di ieri e assolvo così la mia coscienza, acquisendo meriti spendibili davanti alla comunità che me li riconosce volentieri, pur di liberarsi essa stessa da scomodi sensi di colpa. Che cosa c’è di meglio di questa scorciatoia per voltare comodamente e salvificamente pagina? Paroli sceglie la strada opposta: più impervia e niente affatto redditizia. Ed è per questa ragione che il suo gesto ne fa ancora oggi un uomo da sottrarre all’oblio». 

Non a caso, l’esergo del libro è un passo di Metastasio, che così recita: «Senza pietà diventa crudeltà la giustizia… E la pietade senza giustizia è debolezza». 

Tutto questo ovviamente non cancella l’orrore dell’antisemitismo, e le responsabilità dei fascisti nella persecuzione degli ebrei. È utile anzi ricordare che, se la razzia del ghetto di Roma fu opera dei nazisti, furono purtroppo i fascisti italiani a dare la caccia agli ebrei veneziani, compresi i bambini dell’asilo e i vecchi degli ospizi. Né si può dire che Interlandi sia il Céline italiano; perché se Viaggio al termine della notte resta un grande libro, a dispetto delle idee odiose dell’autore, de «La difesa della razza» dal punto di vista letterario e giornalistico per fortuna non resta molto più di nulla. Quello che resta è semmai il gesto di umana pietà che riconcilia i nemici della guerra civile. Lo stesso spirito che si ritrova nell’ultima lettera del tenente Pedro Ferreira, condannato a morte della Resistenza, che ringrazia il tenente Barbetti per aver tentato di salvargli la vita. E anche nella lettera del capitano Balbis, uno degli eroi del Martinetto — il poligono di tiro dove vennero fucilati i capi della Resistenza piemontese —, che nel momento supremo si pone il tema della riconciliazione: «Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana…». 

 

Il libro di Cusenza, costruito con il passo della grande inchiesta, è pieno di dettagli, notizie, curiosità, riflessioni, che è giusto lasciare al lettore. Questa conclusione invece va anticipata: «Chi fa del bene può dimenticare velocemente, come del resto chi fa del male, scegliendo o non scegliendo di assumersi una responsabilità, vedi il caso di Pilato. Ma chi riceve il bene, come il male, ha il dovere di ricordare. E Sciascia ricorda con lui, con Paroli, un gesto straordinario che scardina le comode linee divisorie che per tutto il dopoguerra, e anche oltre, consentiranno ai furbi teorici dei mondi opposti e inconciliabili, delle barricate e delle cortine di ferro, di erigere muri sotto i quali magari scavare gallerie. Per non ammettere mai, in pubblico, che con il presunto nemico segretamente poi si divideranno i frutti della conveniente separazione.

Un gesto solare di solidarietà, di quelli che nella Sicilia di Interlandi una volta dovevano essere comuni e frequenti, ha avuto origine invece tra le nebbie brumose del lago di Garda. Dove la cortina grigia e apparentemente uniforme confonde uomini e cose, e aiuta a scoprirne la somiglianza, l’affinità e, alla fine, la profonda comune identità che in esse si nasconde».

 

da Corriere della sera del 10 gennaio 2021

Su questo tema il giornalista e storico Lino Buscemi aveva realizzato una rubrica per la Strada degli Scrittori che potete vedere qui sotto.